Sono partito da Tanta un anno fa e finalmente sono in Italia. Sono arrivato in un paese sperduto della Calabria…o almeno credo. Non capisco molto bene l’italiano e c’è una grande confusione. Non so dove mi porteranno ma…aspetto.
Il viaggio non è stato una passeggiata: ho avuto paura. Sono stato dieci giorni su una barca. Di quelle che probabilmente vi sarà capitato di vedere in televisione durante uno di quei…Come si chiama? Ah...sì, telegiornale...
“Ennesima imbarcazione arriva nel porto di Crotone”
Tra quelle persone ci sono anche io e sono qui e.... aspetto. Parlando con un mio amico, dice che forse ci porteranno in un centro perché abbiamo meno di 15 anni. i sento sollevato anche perché soffro il mal di mare e di notte, per colpa del vento, ho avuto paura di cadere.
Il centro di accoglienza non è come me lo aspettavo. Ha delle stanze molto grandi e ci sono le sbarre alle finestre. Forse il mio amico ha capito male. Resto qui, tanto non posso uscire…
Aspetto.
Vorrei parlare con la mia famiglia, non la sento da un mese, ma non ho un cellulare. Ci sono delle persone qui, mi guardano male, forse perché ho delle bolle sulle braccia che mi sono comparse durante il viaggio. Non so bene cosa siano, ma mi danno un prurito pazzesco.
Domani, dovrebbero portarmi a fare le analisi... non le ho mai fatte, ho paura degli aghi.
Sto pensando di scappare. Mannaggia queste sbarre.
MiSNA: acronimo di Minori Stranieri Non Accompagnati
I minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia, giungono in casa famiglia dopo un iter complesso, che spesso li porta ad essere collocati in diverse strutture di accoglienza, prima che venga definito un progetto adeguato, per il loro percorso di integrazione.
Sono ragazzi minorenni che vivono una doppia transizione legata sia al passaggio dall’ adolescenza all’età adulta, che alle difficoltà correlate alla comprensione di una nuova cultura, che presenta valori e tradizioni molto diversi rispetto a quella d’origine.
Casa Mariella accoglie da sempre minori italiani e stranieri. In questo periodo sono presenti ragazzi di diverse nazionalità. Quando arrivano dei minori stranieri li guardiamo scendere dalla volante, accompagnati dalle forze dell’ordine, con espressioni confuse e impaurite. Gli domandiamo se hanno fame e loro non sanno rispondere. Proviamo a toccarci la pancia cercando di tradurre in gesti le domande. Spesso annuiscono, ma ci guardano perplessi. Proviamo a porgergli piatti pieni di cibo, ma non sappiamo se gli piacerà e se lo accetteranno. Iniziamo a presentarci, a dire i nomi di tutti i presenti e a mostrare la casa, gesticoliamo come vigili impazziti, ma in fondo sappiamo che non stanno capendo nulla, mentre gli indichiamo il piatto e gli diciamo “Mangia la pasta, è buona!”.
Criticità
Lavorando in una struttura che accoglie anche minori stranieri non accompagnati, conoscere più lingue potrebbe tornare utile. Noi, spesso, comunichiamo con l’aiuto di Google Translate. Questo rende tutto più complicato. Quando i ragazzi ci raccontano le loro storie è difficile riuscire a condividere emozioni così forti, attraverso la voce robotica che proviene dallo schermo.
Un’altra grande criticità che incontriamo è legata alla loro difficoltà nel rapportarsi con noi educatrici di sesso femminile. Spesso faticano a riconoscere il nostro ruolo e la nostra autorevolezza ed è davvero faticoso creare relazioni di aiuto, improntate sul rispetto e la fiducia. Il confronto con i colleghi e la conoscenza dei ragazzi ci aiuta ad evitare inutili conflitti e ad instaurare un dialogo costruttivo. A volte serve solo dare loro del tempo.
Il tempo, quasi come un ossimoro, rappresenta una risorsa e a volte anche un ostacolo.
Non è facile spiegare ai nostri ragazzi che l’iter burocratico per il rilascio dei documenti e del permesso di soggiorno a volte necessita di tempistiche lunghe. Gli adolescenti vorrebbero ottenere tutto nell’immediato e, per un ragazzo che sta per diventare maggiorenne o che vorrebbe iniziare a lavorare per aiutare la propria famiglia d’origine, non è semplice accettare che in un periodo storico in cui tutto sembra essere così rapido, sia invece necessario rallentare per poter raggiungere degli obiettivi concreti. Il nostro lavoro funge, anche in questo caso, da tramite all’interno di dimensioni spesso contraddittorie.
Quale accoglienza in un mondo che non accoglie?
Parlare di accoglienza al giorno d’oggi non è semplice, soprattutto dovendosi confrontare con una società che guarda l’Altro con paura e sospetto. Spesso ci rendiamo conto di desiderare che i nostri ragazzi si inseriscano senza intoppi, ma è importante avere pazienza e far sì che acquisiscano gli strumenti per potersi ambientare, elaborare il viaggio che hanno affrontato e comprendere in che modo vorranno affermare la propria identità all’interno del Nostro Paese. Ci chiediamo spesso cosa dobbiamo disimparare e su cosa dobbiamo aprire la mente nel rapportarci con loro nelle nostre differenze. Non abbiamo ancora trovato una risposta univoca a questi interrogativi, ma crediamo che la cosa più importante sia accogliere le nostre reciproche fragilità perché in fondo:
“quando c’è una meta, anche il deserto diventa strada”
(Proverbio Arabo)
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